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L'eccesso di suoni cancella storia e identità comune

11/09/2009
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Jolanda Capriglione,
Corriere del Mezzogiorno

Il paesaggio, non può essere considerato una sorta di contesto da usare o da contemplare, da tutelare

Uno studioso attento e raffinato come Massimo Giovan­nini può dire con sicurezza che il paesaggio "sostanzia il concetto di comunità. Collabora alla sua materializzazio­ne. Contiene tutte le attività dell'uomo" (Due circostanze, in R. Priore, Convenzione europea del paesaggio. Il testo tradotto e commentato, Reggio Calabria 2006, pag. 27). Il paesaggio, allora, non può essere considerato una sorta di contesto da usare o da contemplare, da salvaguardare o tutelare o, sempre più spesso, da distruggere, modificare in relazione alla sua cosiddetta bellezza o in relazione alla sua funzionalità rispetto ad un progetto che prescinde dal­la natura in sé dei luoghi. Questa rapida premessa impo­ne in tutta la sua forza una domanda che da oltre un mil­lennio attraversa da un lato la filosofia, dall'altro quella che potremmo chiamare la "filosofia del paesaggio", pae­saggio che, in forza di questa stessa definizione, esce dalla dimensione di estraneità rispetto all'uomo per diventare appunto protagonista. La questione non è di poco conto per gli architetti, per i "public decision makers", e non solo, dal momento che ci porta su un piano che da Aristo­tele in poi ha avuto risposte tormentate: si può parlare di un'etica dell'ambiente e del paesaggio? In altri termini, possiamo dire: può esistere, esiste un'etica dei cosiddetti enti non umani? La domanda, come ben si comprende, appartiene all'architettura come alla filosofia, alle scienze della vita come al mondo del diritto: lo dimostrano i nu­merosi studi che si sono sviluppati soprattutto in Ameri­ca e che solo di recente hanno cominciato a toccare la trat­tatistica italiana più attenta. Penso agli studi di Tiezzi, di Virginia Gangemi, di Carmine Gambardella che da tempo hanno autorevolmente riproposto il problema sulla scena dell'epistemologia. È vero, comunque, che oggi un termi­ne come "bioarchitettura" finalmente non è più una "stra­nezza linguistica": penso alle ricerche del team di Carmi­ne Gambardella sull'eco-geometria del territorio che ri­scrive così il contesto teorico della scienza della rappre­sentazione e, più complessivamente del paesaggio in que­sta nuova accezione grazie al lavoro, appunto, dei molti scienziati che conducono le loro ricerche all'interno di "Benecon", il Centro interuniversitario di Frignano dove si incontrano saperi molteplici. Un aspetto particolare del discorso sul paesaggio è senza dubbio quello relativo alle sonorità che ormai, pericolosamente invisibili, invadono, consumano, deteriorano, cancellano il paesaggio. Gino Maffei, prestigioso docente della Sun, Presidente della So­cietà Europea di Acustica e Vicepresidente della Società Internazionale sul Noise Control ci mette in guardia: il soundscape è in pericolo. L'eccesso di suoni è dannoso per noi, per gli animali, per le piante, l'eccesso di suoni cancella la storia e la nostra identità. Non è quesione da poco dal momento che la nostra memoria è fatta anche di voci, di silenzi, di pause, di suoni caratteritici che oggi si confondono pericolosamente in un mix di scappamenti d'auto, musiche a tutto volume che a tutte le ore fuorie­scono da bar, supermarket, shops di ogni genere. La musi­ca non è più un piacere, ma un dannoso sottofondo che deve coprire altri rumori: il paesaggio sonoro non ha più suoni, ma boati indistinti. Perfino le chiese per farsi ascol­tare devono ricorrere all'elettronica del fracasso. Forse è arrivato il momento di una riflessione più attenta da par­te di tutti sul valore di un senso prezioso: l'udito.