L'eccesso di suoni cancella storia e identità comune
Il paesaggio, non può essere considerato una sorta di contesto da usare o da contemplare, da tutelare
Uno studioso attento e raffinato come Massimo Giovannini può dire con sicurezza che il paesaggio "sostanzia il concetto di comunità. Collabora alla sua materializzazione. Contiene tutte le attività dell'uomo" (Due circostanze, in R. Priore, Convenzione europea del paesaggio. Il testo tradotto e commentato, Reggio Calabria 2006, pag. 27). Il paesaggio, allora, non può essere considerato una sorta di contesto da usare o da contemplare, da salvaguardare o tutelare o, sempre più spesso, da distruggere, modificare in relazione alla sua cosiddetta bellezza o in relazione alla sua funzionalità rispetto ad un progetto che prescinde dalla natura in sé dei luoghi. Questa rapida premessa impone in tutta la sua forza una domanda che da oltre un millennio attraversa da un lato la filosofia, dall'altro quella che potremmo chiamare la "filosofia del paesaggio", paesaggio che, in forza di questa stessa definizione, esce dalla dimensione di estraneità rispetto all'uomo per diventare appunto protagonista. La questione non è di poco conto per gli architetti, per i "public decision makers", e non solo, dal momento che ci porta su un piano che da Aristotele in poi ha avuto risposte tormentate: si può parlare di un'etica dell'ambiente e del paesaggio? In altri termini, possiamo dire: può esistere, esiste un'etica dei cosiddetti enti non umani? La domanda, come ben si comprende, appartiene all'architettura come alla filosofia, alle scienze della vita come al mondo del diritto: lo dimostrano i numerosi studi che si sono sviluppati soprattutto in America e che solo di recente hanno cominciato a toccare la trattatistica italiana più attenta. Penso agli studi di Tiezzi, di Virginia Gangemi, di Carmine Gambardella che da tempo hanno autorevolmente riproposto il problema sulla scena dell'epistemologia. È vero, comunque, che oggi un termine come "bioarchitettura" finalmente non è più una "stranezza linguistica": penso alle ricerche del team di Carmine Gambardella sull'eco-geometria del territorio che riscrive così il contesto teorico della scienza della rappresentazione e, più complessivamente del paesaggio in questa nuova accezione grazie al lavoro, appunto, dei molti scienziati che conducono le loro ricerche all'interno di "Benecon", il Centro interuniversitario di Frignano dove si incontrano saperi molteplici. Un aspetto particolare del discorso sul paesaggio è senza dubbio quello relativo alle sonorità che ormai, pericolosamente invisibili, invadono, consumano, deteriorano, cancellano il paesaggio. Gino Maffei, prestigioso docente della Sun, Presidente della Società Europea di Acustica e Vicepresidente della Società Internazionale sul Noise Control ci mette in guardia: il soundscape è in pericolo. L'eccesso di suoni è dannoso per noi, per gli animali, per le piante, l'eccesso di suoni cancella la storia e la nostra identità. Non è quesione da poco dal momento che la nostra memoria è fatta anche di voci, di silenzi, di pause, di suoni caratteritici che oggi si confondono pericolosamente in un mix di scappamenti d'auto, musiche a tutto volume che a tutte le ore fuoriescono da bar, supermarket, shops di ogni genere. La musica non è più un piacere, ma un dannoso sottofondo che deve coprire altri rumori: il paesaggio sonoro non ha più suoni, ma boati indistinti. Perfino le chiese per farsi ascoltare devono ricorrere all'elettronica del fracasso. Forse è arrivato il momento di una riflessione più attenta da parte di tutti sul valore di un senso prezioso: l'udito.